Girare la domenica è strano perchè lungo le strade, mentre cammini, non incontri nessuno. Poi, quando arrivi nei paesini e nei luoghi da visitare, trovi masse infinite di turisti e ti chiedi: "ma questi qui come ci sono arrivvati se fin'ora in giro non c'era nessuno?" Salutato Matteo lascio Momtefiascone e mi dirigo verso Bolsena. Il tempo regge e finalmente ho ripreso a muovermi "da me", sulle mie gambe. Non accuso particolari dolori, nemmeno ai piedi, niente vesciche, le mie Steinbock Dolomite fanno il loro sporco lavoro (sono tutte incrostate di fango) maledettamente bene, sempre asciutte, sempre perfette! Mi ci vogliono tre ore per arrivare, devo riprendere un po' il ritmo dopo i due giorni di autobus e passaggi. Visito il borgo, aggrappato ad un pendio roccioso, affacciato sul lago, è esattamente come uno si immaginerebbe un borgo medioevale. Posto in alto, protetto ed affacciato sulla vallata sottostante. Le sue vie sono parallele tra loro, tipiche del perfezionismo rinascimentale, ricavate direttamente dagli stretti spazi tra le case in pietra grigia, lunghe, massicce e tutte alte uguali. All'estremità delle vie c'è il castello, anch'esso proteso sul lago, come se volesse affacciarsi a specchiarsi sul pelo dell'acqua, per scrutare i fondali del suo laghetto. Teoricamente per oggi potrei fermarmi, ma ho ancora voglia di camminare e Civita è a soli quattordici chilometri, sono le dodici, ho tutto il tempo per farcela. Il cielo si alterna tra sprazzi di sole e momenti di coperto, ma fin'ora tutto è calmo. Ho fiducia. In salita il passo si fa più veloce e quasi mi meraviglio della mia stessa velocità. Dopo sole due ore sono lì, il piccolo ponte che sale è davanti ai miei occhi, "il paese che muore" è spettacolare, indescrivibilmente bello! Si stringe, su quel suo cocizzoletto di roccia sedimentaria estremamente franabile, quasi a cercare di non volerne crollare giù. È proprio questo infatti il motivo che ha spinto i suoi, ormai pochi, abitanti a lasciare il borgo, facendolo diventare un paese fantasma. Ci ha pensato il turismo a riportare la vita al suo interno (sono comunque solo quattro le persone che ci vivono stabilmente), ma quell'aria mistica di un luogo abbandonato non ha lasciato le sue mura ed ancora oggi camminandole la si può percepire. Mi lascio incantare dal borgo per almeno due ore, catturato dai suoi piccoli giardini appartati, dai suoi archi e dai suoi portoni. Terminato il giro è ancora presto e quasi quasi mi tiro avanti sulla tappa di domani. Faccio trecento metri dal cartello che segna la fine del paese e sulla mia testa cominciano a cadere secchiate d'acqua come lanciate da una distanza massima di dodici centimetri e mezzo. L'unica è fermarsi sotto un pino, di fianco al camposanto, ed aspettare. Mezz'ora dopo il diluvio s'attenua e la marcia riprende. Alla ricerca di un fienile o di qualche tettoia sotto cui ripararmi per la notte mi imbatto in Regula e Francesco, due gentili signori che mi offrono il loro magazzino come riparo. Si scambiano quattro parole mentre Francesco cuoce su un fornello all'aperto dei pomodorini per farne la passata per l'inverno. Mi ospitano senza problemi, come se fossi un amico di vecchia data, con una cortesia ed una naturalezza uniche, che mi fanno credere, almeno un poco, che ci siano ancora delle belle persone a questo mondo.
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