martedì 15 ottobre 2013

Tappa #19 Urbino/Mondaino/Montegridolfo/Montefabbri/Mondavio

Al mio risveglio l'ambiente attorno a me, nonostante io mi trovi al coperto, è fresco e mi sento pungere la pelle, appena uscita dal sacco a pelo bollente. Si vuol far sentire, insomma, questo autunno. Casa Lovatelli è sveglia fin da presto ed io ne aproffitto per fare colazione in compagnia. Vivere questi momenti di vita quotidiana, accolto da persone che a mala pena mi conoscono, mi fa sentire quasi privilegiato. Perchè ho compreso che alla fine il vero scopo di questo viaggio non è assolutamente fare tutta la strada a piedi, come non è dormire in tenda tutte le sere o dover visitare per forza tutti i luoghi. Se così fosse ne risulterebbe un viaggio sterile, utile solo a me stesso, e forse nemmeno a me. Il vero scopo, il vero senso è quello di vivere! Situazioni ogni giorno diverse, incontri incredibili che possono aiutarti a risolvere un problema o offrirti una conoscenza. Uno scambio continuo, tra me e le persone, i luoghi, gli avvenimenti. Ma sono cose che capisci solo lungo strada, difficili, o meglio impossibili, da calcolare a priori.  Il mio cammino riprende dunque, immerso nella nebbia fitta che sarà instancabile compagna per tutto il giorno. Raggiungo Mondaíno solo dopo una salita di sette chilometri. Ho le gambe tagliate in due, sono distrutto, pur non avendo "corso". Evidentemente la stanchezza dei seicentocinquanta chilometri comincia a farsi sentire, soprattutto nei polpacci, ormai diventati più duri del tek. Sono nel punto più a Nord di tutto il viaggio, e vedendo il cartello con la scritta "Rimini 60km" mi viene quasi da mollare per terra lo zaino per andarmene verso il mare. Ma la stagione non è propriamente la migliore per fuggire in quella direzione, ed in compenso la bellezza della cinta muraria di Mondaíno fanno da buon deterrente. Tutta questa zona, soprattutto nei dintorni di Montegridolfo, fu importante non solo in periodo medioevale ma anche durante la seconda Guerra Mondiale, in cui  rappresentava uno dei punti cardine della linea gotica di resistenza. Su queste colline infatti da metà 1943 fino alla fine del 1944 nazisti e alleati si diedero battaglia, logorandosi a vicenda, ma ancor peggio coinvolgendo inutilmente gli abitanti del luogo. Il mio passaggio in territorio emiliano finisce ben presto perchè mi basta fare qualche chilometro in direzione Montefabbri per rientrare nelle Marche. Durante il mio rientro però accade una cosa stupenda che fa bloccare ogni mio muscolo. I polmoni mi si riempiono di un profumo conosciuto mentre una sensazione di gioia immensa mi riempie. Non so bene da quale pianta provenga ma riporta la mia mente indietro di vent'anni perchè quel profumo è lo stesso che respiravo a casa della mia nonna paterna, a Sant'Eusebio vicino Bassano, quando da piccolino giocavo nel suo prato. Resto lì per un po', incantato in mezzo alla strada, a godere di quel momento di felicità enorme. Dopo un'altra ora di cammino sono finalmente a Montefabbri, dove incontro Marco. Mi ferma mentre sto camminando, per chiedermi dove sto andando e, rimanendo colpito dal viaggio, mi offre un passaggio per avvicinarmi alla tappa successiva. Quarantasei chilometri in effetti sarebbero ben lunghi da camminare in un giorno solo e così accetto volentieri la sua offerta. Viaggiando mi racconta di quando si divideva tra Belgio e Italia come ingegnere, della sua carriera giovanile in serie A e di quando andava a ballaere nelle discoteche di Rotterdam. Parliamo senza sosta per un po' e mi accorgo di essere arrivato a Mondavio solo vedendo il cartello di inizio paese. "Spero tu non ti offenda, ho deciso di accorciarti un po' di strada, che tanto con questa nebbia avresti comunque visto poco". Lo ringrazio di cuore e lui mi risponde augurandomi di continuare sempre così, rimanendo curioso nel voler scoprire le cose. Fatti quei pochi metri che mi separano dal paese mi si offre uno spettacolo che fin'ora può avere pochi paragoni. Le mie pupille si allargano, scintillando e luccicando di gioia e stupore. L'enorme cinta muraria sovrasta il paese esterno e quelli che una volta erano i fossati, oggi marciapiedi. Resta lì, immobile, con un inclinazione di circa cinquanta gradi, tutta costruita con mattoncini a vista, capaci di donarle una possenza ciclopica. Il grande torrione poi, posto di fianco al ponte levatoio, trasmette un'incredibile sensazione di potenza e maestosità. Si rimane a fiato sospeso anche entrando nel borgo, seguendo tutti i vicoletti che si disperdono dalla piazza in ogni direzione così come osservando le sue case, uniformi e forti di quel colore rosso che la terracotta gli dona. Se non stesse iniziando a piovere rimarrei qui molto più tempo, ma si avvicina anche la sera e devo trovare un posto per poter dormire. Dopo svariati rifiuti, tra cui anche quello del parroco, che molto probabilmente parlerà nelle sue prediche (a vanvera, come del resto fanno molti altri suoi simili) di fratellanza e generosità, decido di lasciare il paese e dirigermi verso la campagna. La pioggia si sta facendo insistente e, fermatomi sotto un albero, scorgo un ragazzo che chiude gli scuri di casa. Quando gli domando se ci sia un posto nei dintorni dove io mi possa mettere mi invita a raggiungerlo sul retro. Si chiama Christian e senza tante domande mi mostra una piccola rimessa non lontana da casa. Il posto è perfetto, l'importante per me è avere un riparo sotto cui stare. Si ripresenta poco più tardi assieme a Marco, accompagnato dalle sue bimbe, invitandomi a cenare con loro. Discutiamo un po' delle ragioni che mi spingono a viaggiare memtre su una cartina dell'Italia mostro il mio percorso, scrutato attentamente dai curiosi occhi fanciulleschi di Eva e Gloria. Una serata bellissima che però a causa della mia stanchezza si conclude molto presto. Nonostante il vantaggio guadagnato il mio fisico comincia a farsi sentire e così mi infilo velocemente nel sacco contento di quanto mi stia continuamente capitando.

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